COSA VOGLIONO I GIOVANI?

news inserita il 27/11/2010 - da: LUCA SCIACCHITANO

Qualche giorno fa un mio amico "anziano", mentre si discuteva se ne uscì con una di quelle domande spiazzanti.
Premesso che non capiva i giovani d'oggi, chiedeva apertamente "ma cosa vogliono i giovani?"

Io non so se posso ritenermi "giovane": ho 36 anni, moglie, un figlio, lavoro da quando avevo 19 anni, ho lasciato la casa dei miei genitori alla stessa età e non vi ho più fatto ritorno, ho girato mezzo mondo ed ho vissuto per 10 anni fuori dalla mia città natale.
Inoltre, non credo neanche che esista una categoria-gelatina "giovani".
I "giovani" sono persone come gli altri, con esperienze, necessità, aspettative, le une diverse dalle altre pertanto parlando di "giovani", qualcuno si aspetta una massa di persone tutte con lo stesso obiettivo e quindi facilmente organizzabili sotto un unico stendardo.

In realtà non credo sia così.
Credo che i "giovani" rispondano, come tutte le persone, a scale di necessità riassumibili in estrema sintesi dalla famosa piramide di Maslow.

La differenza tra i "giovani" e gli "anziani" è che i "giovani" sono venuti dopo ed hanno trovato tutti i posti già occupati: lavorativi, politici, pensionistici.

Quindi più che di "giovani" i parlerei di "senza posto" (all'interno dei quali ci sono anche alcuni "anziani").
In questo contesto allora la domanda non è più "cosa vogliono i giovani" bensì "perchè i senza-posto non si prendono il proprio posto?"

Intanto perchè i posti occupati non sono stati occupati ingiustamente da chi è venuto prima ma nel pieno possesso di un loro diritto.
Bisognerebbe liberare quei posti che, allo stato attuale appartengono di diritto a chi è arrivato prima oppure creare (o crearsi) nuovi posti.

Ma sono decisioni che non appartangono ai "senza-posto" a meno di non decidere, in maniera ingiusta, di liberare i posti occupati con la violenza, passando immediatamente dalla ragione al torto.

Servirebbero decisioni politiche dunque, non tanto per creare nuovi posti di lavoro, quanto per liberare i vecchi, ma la politica, in questo senso, ha la tendenza opposta, ovvero allungare l'età pensionabile prosponendo la conquista del posto di lavoro e quindi il ruolo nella società di queste persone.

Scelte politiche che, però, cozzano con le ineluttabili conseguenze della stessa piramide di Maslow: se non soddisfi i bisogni che stanno alla base, difficilmente penserai ai bisogni che stanno più in alto.
Ovvero, se non trovi un lavoro, difficilmente penserai all'autorealizzazione politica.
E se fai politica rischi di farti dei nemici e quindi di non trovare più il lavoro di cui hai bisogno (parliamo pur sempre di un paese clientelare e corrotto come l'Italia).
Sotto questo punto di vista potremmo dire che "chi mendica non combatte".

Un altro motivo potrebbe essere il fatto che chi raggiunge determinati livelli di benessere difficilmente sceglierà di propria iniziativa di scendere da determinati standard.
Mi spiego: abbiamo una persona (giovane o non giovane che sia) vive nella casa dei propri genitori, servito, riverito, con poche o nessuna spesa da pagare.
Perchè mai questa persona dovrebbe abbandonare la casa in cui è nato, vissuto e cresciuto?
Perchè mai dovrebbe spendere parte dei suoi (pochi) soldi per pagare un affitto in un monolocale del centro storico, freddo ed umido?
E le bollette della luce, ed il cibo da comprare e da cucinarsi? e le lavatrici da fare, e stendere il bucato e poi stirarselo?

Lo potebbe fare per onore e senso di dignità. Oppure potrebbe non farlo per convenienza.
Nel 2010, con il relativismo che la fa da padrone, sono entrambe delle motivazioni più o meno valide.



P.s. ovviamente questo non vuole essere un trattato di psicologia/sociologia giovanile.
Solo un paio di pensieri personali di un pigro sabato mattina.

 

 

 

© 2010 Luca Sciacchitano
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